Le nostre storie

Anna e Vittoria Luce

Chi sia una buona madre lo decidono gli altri diceva l’incipit di un libro di Concita de Gregorio.

Sentivo, mentre ti aspettavo, che avrei potuto esserlo per natura o, nel mio immaginario, per riconoscimento di un essere altro da me, ma sempre e per sempre parte di me; pensavo sarebbe bastato uno sguardo e da lì… bolle di sapone , caramelle gommose, unicorni, feste di Natale.

Ti guardo ora: sei in terapia intensiva, sei nata già da quattro giorni e non ti ho ancora sfiorata e tenuta in braccio …non sento, non vedo bene… è tutto deformato, distante.  Non sono io, non puoi essere tu; la neonatologa mi spinge al muro, mi fissa, la bocca dice “danni cerebrali importanti, ipossia”, ma non ascolto, non respiro, mi fa male; alza la voce, mi chiama per nome e dice “non sappiamo niente del cervello, cerca , prova, non darti per vinta e riparti”. Da quel giorno porto nelle tasche parole come “diagnosi ” e “prognosi”, sassi pesanti che mi hanno ancorato alla Vita impedendomi di andarmene e lasciarti sola.

Abbiamo cercato, provato, e molte volte siamo ripartite insieme quando quella terapia, quel ricovero, la scelta di quello specialista sembravano non dare più i risultati sperati.

Pensarci in questa Vita in salita a volte non è facile. Accettare ancora non riesco,  questo è il motore che mi spinge a cercare ciò che possa farti bene e renderti autonoma e soprattutto felice, questo è il mio motore e ciò che purtroppo ancora mi toglie il respiro.

Cosa sia una buona madre ancora non lo so e, francamente, poco me ne importa; quello che imparo ogni giorno, invece, è cosa sia un buon compromesso… ma soprattutto quello che so oggi l’ho imparato grazie a TE.

(Foto by Francesco Semenzato)

Caterina e Martino

Dall’ombra alla luce.

Mi ricordo i primi istanti di vita, il primo respiro già lo mette in pericolo. I primi mesi mi mettevo in ascolto aspettando i segnali del cambiamento, in allerta e in attesa. Quando arriveranno saprò coglierli e sarò pronta. Risponderò dandogli quello che gli serve.

Poi non arriva nulla, o comunque nulla di comprensibile. Qualcosa non è come dovrebbe essere.

Se decidi di andare avanti però, l’intenzione non è sopravvivere, ma è quella di vivere, e, per Dio, anche felici. E come tutte le cose che ti sembrano impossibili da superare, poi, quando succede a te, non si sa come, ci riesci, e anche bene. In qualche modo trovi le risorse, non perché sei diversa, ma perché la vita è così.

Poi mi sono innamorata di lui. E ho imparato che lui è me, come in uno specchio. Ho imparato a riconoscerlo come un’opportunità. Un modo davvero altro di vedere, di essere, di stare e di sentire. Un bambino in carne viva. Un bambino sorprendente. E oggi, nel quotidiano, il tentativo è di accogliere questa vertigine, questo sguardo diverso. E di lasciarmi stupire